Tuttavia, il Codice civile, i principi contabili e quelli di revisione non forniscono una precisa definizione di continuità aziendale. Il punto 2 del principio ISA Italia 570 – Continuità aziendale – dispone che “in base al presupposto della continuità aziendale, un’impresa viene considerata in grado di continuare a svolgere la propria attività in un prevedibile futuro”.
Sulla base di ciò, mi pare che sia molto condivisibile l’affermazione secondo cui “la continuità aziendale è una circostanza in atto, insita in un’impresa, a durare nel tempo, lungo le direttrici di competitività, coesione ed economicità di cui si è detto in premessa. È in buona sostanza la capacità dell’azienda di produrre risultati positivi e generare correlati flussi finanziari nel tempo.”.
Crisi di impresa: doveri di amministratori e organi di controllo
La riforma della crisi di impresa ha ulteriormente rafforzato i doveri di amministratori e organi di controllo societario in merito alla prevenzione delle crisi di impresa, che possono costituire un evento prodromico alla mancanza del presupposto di continuità aziendale.
Per quanto riguarda gli amministratori, al comma 2 dell’art. 2086 c.c. è stato inserito quanto segue: “l’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale”.
Il decreto prevede, inoltre, che le valutazioni dei possibili indicatori di crisi si basino innanzitutto sui principali indici di equilibrio economico finanziario dell’impresa.
Tutto ciò pone molte sfide tanto alle piccole e micro-imprese, spesso caratterizzate da una gestione “familiare”, quanto ai loro controllori. Infatti, le piccole e micro-imprese sono spesso caratterizzate da un forte sistema di controllo interno che, tuttavia, essendo esercitato direttamente dal proprietario-imprenditore, spesso non è adeguatamente documentato e facilmente verificabile da parte degli organi di controllo.
In questa situazione non vi è dubbio dell’importanza per il revisore di valutare attentamente le doti di integrità del proprietario-amministratore, in quanto sono fondamentali per garantire il rispetto dei principi di corretta amministrazione e, in particolare, l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo, contabile adottato dalla società e il suo concreto funzionamento. Si potrebbe, inoltre, essere tentati di pensare che, in assenza di una adeguata formalizzazione dei controlli, in queste realtà aziendali il revisore legale dovrà impostare il lavoro di revisione interamente sull’esecuzione di controlli di validità o sostanziali (substantive) sui saldi di bilancio, trascurando i test di conformità volti ad accertare il corretto ed efficace funzionamento dei controlli interni.
A parere di chi scrive, questa opinione appare un po’ forzata in quanto non tiene conto di due aspetti molto importanti:
– molte aziende, per quanto piccole, dispongono comunque di controlli interni abbastanza adeguati in alcune aree di bilancio (si pensi ai controlli di coerenza anche automatizzati tra ordini, fatture e documenti di trasporto o alla gestione esternalizzata dei servizi di paghe e stipendi). In queste situazioni sarebbe poco efficiente non basare i propri controlli anche su alcuni test di conformità, volti a verificare il funzionamento del sistema di controllo interno, anche attraverso la ri-esecuzione dei controlli che sono stati probabilmente eseguiti dall’impresa ma di cui non vi è una chiara evidenza;
– il secondo aspetto riguarda, invece, proprio la continuità aziendale. Infatti, l’organo di controllo (sindaci o revisori) è tenuto a vigilare circa la presenza di eventuali segnali di allerta relativamente a possibili crisi di impresa che sono spesso prodromiche alla mancanza di continuità aziendale. Ma la miglior garanzia del mantenimento della continuità aziendale è costituita proprio dal sistema di controlli interno e di gestione dei rischi.
Ecco quindi che il revisore, se ai fini della sua funzione di controllo contabile, a costo di un maggior lavoro, potrebbe anche non fare affidamento sul sistema di controllo interno, non può però prescindere da una attenta valutazione del sistema di controllo interno, il cui corretto funzionamento costituisce la miglior garanzia di prevenzioni delle crisi di impresa e di mantenimento della continuità aziendale, e ciò anche nelle piccole imprese.
Come valutare i segnali di allerta
In questo senso, è interessante riflettere sull’orizzonte temporale che deve essere considerato dagli organi di controllo nella valutazione di questi segnali di allerta.
In particolare, la riforma della crisi di impresa richiede che:
– la solvibilità dell’impresa sia valutata su un arco temporale di 6 mesi;
– la continuità aziendale sia valutata su di un arco temporale tra i 6 ed i 12 mesi a seconda del momento in cui la valutazione viene effettuata.
Non vi sono invece indicazioni nel codice civile o nei principi contabili italiani circa la durata del presupposto della continuità aziendale. Questi documenti nella sostanza rinviano o richiamano quanto indicato dal principio contabile internazionale IAS 1 che richiede che qualora il presupposto della prospettiva della continuazione dell’attività sia applicabile, la direzione aziendale deve tenere conto di tutte le informazioni disponibili sul futuro, che è relativo almeno, ma non limitato, a dodici mesi dopo la data di riferimento del bilancio.
Tuttavia, il fine ultimo della riforma è quello della emersione anticipata della crisi di impresa o, addirittura, della prevenzione della crisi di impresa.
Inoltre, è indubbio che i proprietari dell’impresa e gli altri principali stakeholders auspichino che l’impresa disponga di un sistema di controllo interno che garantisca la solvibilità e la continuità aziendale su un orizzonte temporale ben più ampio, e dell’ordine di almeno alcuni anni.
L’esistenza di un assetto amministrativo adeguato è ciò che può fornire una ragionevole garanzia di continuità aziendale su un orizzonte molto più ampio dei 12 mesi.
Il concetto espresso dal legislatore di assetto amministrativo adeguato è universalmente riconosciuto essere essenzialmente basato sul concetto di un buon sistema di controllo interno e di gestione dei rischi.
Obiettivo: un controllo interno efficiente
Per questo motivo si ritiene che le piccole e micro-imprese si troveranno nei prossimi mesi ad una grande sfida, vale a dire passare da una gestione a carattere familiare ad una gestione basata su un sistema di controllo interno e di valutazione dei rischi moderno.
In questo senso, potrebbero assumere sempre maggiore rilevanza due documenti:
– il “CoSo framework”, documento elaborato, nella sua versione attuale (2013) dalle più prestigiose associazioni delle professioni contabili americane;
– il codice di autodisciplina per le società a controllo familiare non quotate, documento elaborato nel 2017 dall’Associazione delle imprese familiari AIDAF e dalla Università Bocconi.
Se il CoSo report è un documento di carattere più generale, che affronta l’intera tematica del controllo interno e del sistema di gestione dei rischi, il Codice di Autodisciplina è, invece, un documento sintetico e pratico che si focalizza, in particolare, su quella parte del sistema di controllo interno costituito dalla Corporate Governance, argomento spesso molto debole o trascurato nelle piccole imprese a carattere familiare.
Una seria adozione del Codice, garantendo una corretta gestione dei poteri, delle deleghe e dei processi decisionali, potrebbe costituire per molte piccole imprese a carattere familiare:
– un valido aiuto gli amministratori a dimostrare, ove necessario, di aver adempiuto ai loro doveri circa il corretto assetto amministrativo dell’impresa;
– un fattore di diminuzione del rischio di insolvenza e carenza del presupposto di continuità aziendale, che i controllori dovrebbero considerare e certamente apprezzare.
In conclusione, e senza pretesa di completezza, ecco alcuni tra i principali fattori che, in base al codice di autodisciplina, possono mitigare i rischi di una crisi di impresa:
– una corretta gestione delle assemblee dei soci, che devono deliberare sulla base di una adeguata informativa pre-assemblea;
– una corretta composizione, gestione e remunerazione dei Consigli di Amministrazione;
– una corretta ripartizione di deleghe e poteri (principio del cosiddetto check & balance);
– il mantenimento di uno statuto sociale aggiornato prevedendo la possibilità di includere clausole volte a limitare i conflitti tra soci e stabilizzare il controllo;
– l’esistenza di organi di controllo, sindaci e revisori, dotati di adeguata professionalità e indipendenza;
– un adeguato trattamento dei passaggi generazionali.
La continuità aziendale costituisce un elemento fondamentale per il bilancio d’esercizio. La riforma della crisi d’impresa ha ampliato i doveri degli amministratori e degli organi di controllo sulla prevenzione della crisi, situazione che può minare il presupposto della continuità aziendale. Per le piccole e micro-imprese l’aspetto problematico risiede nel sistema di controlli a carattere “familiare”: da ciò deriva, per gli organi di controllo, una maggiore difficoltà di verifica, in assenza di documentazione adeguata. Per questo nei prossimi mesi le piccole e le micro-imprese si troveranno dinanzi ad una grande sfida, quella di passare da una gestione aziendale a carattere familiare ad una gestione basata su un sistema moderno di controllo interno e di valutazione dei rischi.
La continuità aziendale costituisce, unitamente a quello della prudenza, uno dei due postulati fondamentali per il bilancio.
Tuttavia, il Codice civile, i principi contabili e quelli di revisione non forniscono una precisa definizione di continuità aziendale. Il punto 2 del principio ISA Italia 570 – Continuità aziendale – dispone che “in base al presupposto della continuità aziendale, un’impresa viene considerata in grado di continuare a svolgere la propria attività in un prevedibile futuro”.
Sulla base di ciò, mi pare che sia molto condivisibile l’affermazione secondo cui “la continuità aziendale è una circostanza in atto, insita in un’impresa, a durare nel tempo, lungo le direttrici di competitività, coesione ed economicità di cui si è detto in premessa. È in buona sostanza la capacità dell’azienda di produrre risultati positivi e generare correlati flussi finanziari nel tempo.”.