Un emendamento approvato dalla Commissione Bilancio della Camera dei Deputati, in sede di conversione in legge del DL 34/2020, sta generando forti perplessità nel settore professionale
Il dibattito in corso è fitto, aspro e costante. Tutti stanno offrendo le loro considerazioni sulla questione apparsa improvvisamente sui tavoli di lavoro istituzionali e anche su quelli più informali. Per un’analisi più tecnica e, direi, anche di tipo settoriale, il rinvio ai tanti interventi è dovuto, il presente non sarebbe altro che una ripetizione.
Il tema su cui ritengo interessante focalizzarsi è indirizzato alla forma di approccio che lo Stato ha nei confronti della tutela delle imprese (quindi, anche di carattere sociale) e delle modalità con le quali ritiene idoneo operare nel loro interesse per mantenerne l’esistenza anche a fini di gettito (quindi, di carattere fiscale). Si, il tema è ampio, molto, ma il mio riferimento ha uno specifico obiettivo. Preliminarmente una sintesi di quello che è ormai consolidato essere il reale ruolo del Revisore Legale.
IL RUOLO DEL REVISORE LEGALE
Per gli addetti ai lavori il ruolo del Revisore Legale è ben chiaro e, storicamente, è stato impropriamente abbinato ad un soggetto invadente rispetto alle operazioni e alle attività imprenditoriali. Di fatto, anche il passaggio della semplice denominazione (Revisore dei Conti>Revisore Contabile>Revisore Legale) ha fornito una chiara idea dell’evoluzione di tale ruolo e la recente riforma della c.d. “Crisi di Impresa” ha definito alcuni importanti elementi di novità che riguardano anche tale figura professionale.
Tra questi certamente vi è l’estensione dell’obbligo di nomina dell’organo di controllo per le SRL con definiti (non tanto, diciamo, “plurimodificati”) limiti dimensionali e vi è l’introduzione (rafforzamento) di una impostazione di tipo strutturale per tutte le società richiedendo l’adozione di un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla rilevazione di una situazione di crisi in maniera tempestiva, allo scopo di preservare la continuità aziendale. Nella sostanza, secondo il legislatore, tali due elementi sono e costituiscono un aiuto alla prevenzione della crisi.
Molto si può discutere sul fatto che un concetto così generico (“adeguato”) sia così estendibile a tutte le varie dimensioni societarie e di impresa in genere, ma non è questo il tema. Altresì, possiamo dibattere su quali possano essere gli idonei limiti strutturali e dimensionali per rendere obbligatoria la nomina di un organo di controllo in specifiche società, ma anche questo non è il tema del presente intervento. Non solo, potremmo anche addentrarci nella ricerca di un coordinamento utile ed efficace rispetto ai vari parametri europei sulla definizione di micro impresa, PMI, ecc. e conseguenti obblighi (esempio, forma strutturale, tipologia di bilancio e relativa informativa da depositare, ecc.).
Già da questi pochi accenni, abbiamo compreso come il nostro legislatore sia palesemente e cronologicamente affetto da schizofrenia e anche da una forte dose di psicopatia normativa infantile verso la quale non esiste ancora in medicina alcuna cura o forma di allievamento di sintomi e, a quanto pare, anche la ricerca scientifica è in netto ritardo.
Negli intendimenti del legislatore, pertanto, il Revisore, oltre a tutte le attività tipiche e “tradizionali” necessarie per certificare un bilancio (che indubbiamente accresce la fiducia dei terzi -banche, fornitori, potenziali partner, ecc- nei confronti della società), insieme ad altre disposizioni e ai contenuti dei vari Principi di Revisione, dovrà aiutare l’impresa ad istituire assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati alla rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale. Si, non è sbagliato il verbo, è proprio “aiutare”, che possiamo anche declinare in “collaborare”, “coadiuvare”, “supportare”, ecc., ecc..
Senza entrare nel merito, è evidente l’intento del legislatore (nel suo momento di lucidità), cioè, quello di cercare di diffondere anche nelle imprese di minori dimensioni una maggiore cultura sul controllo di gestione e una migliore organizzazione contabile-amministrativa che supporti la crescita e lo sviluppo delle imprese. In tal senso il legislatore attribuisce alla funzione di controllo interno un compito fondamentale per garantire una sana gestione dell’impresa. È, pertanto, in questo intendimento che va certamente messo a frutto l’intervento del Revisore e delle sue competenze professionali ed è la carenza di collaborazione con la governance che potrebbe proprio incrinare questa forma di assoluta utilità per la società.
…E CHE FA IL LEGISLATORE?
Sulla base di quanto sopra, con l’emendamento citato in apertura, il legislatore mette in crisi tutto questo. Si, perché, mette in crisi le società virtuose, sia in termini di rispetto della legalità (ci sono società che hanno anche anticipato la nomina nel corso dell’anno 2019 per far svolgere un idoneo lavoro al Revisore), sia in termini di cultura aziendale (ci sono società che hanno comunque nominato il revisore prendendo spunto dai consigli di professionisti fiduciari).
Adesso invece, il premio, motivato dall’evento Covid-19, è indirizzato a chi al 30.06.2020 non aveva rispettato i termini precedenti, ma mette in modalità “soggetti a revoca” anche le (regolari) nomine precedenti con conseguenze alquanto pesanti.
Non solo, ma, praticamente, rende scoordinate tutte le varie norme di entrata in vigore della stessa riforma della crisi: adeguato assetto, indici della crisi, nomina revisori, tutto scoordinato.
Questo è lo Stato nel quale l’incertezza del diritto la fa da padrona da molto tempo, ma certe volte esagera proprio.
Pur non avendo uno stretto legame tecnico-professionale, l’episodio di questo slittamento mi ha fatto riflettere di quanto e come questo Stato sia veramente lontano dal conoscere qualsiasi strumento di aiuto aziendale e quanto ogni sua azione sia catalogabile solo ed esclusivamente in quelle di tipo “strumentale” e anche “manipolatrici”.
REGISTRATORI DI CASSA (che c’entrano?)
Preliminarmente affrontiamo un tema di confronto molto semplice e veloce.
Dal 01.07.2019 e successivamente dal 01.01.2020 (oggi in moratoria fino al 01.01.2021) i contribuenti hanno dovuto attivare i corrispettivi telematici e, in presenza di specifiche condizioni tecniche, i Revisori Legali ne sono coinvolti.
Infatti, dall’Agenzia delle Entrate con la Versione 7.0 – Aprile 2019 si precisa, nel paragrafo 3, che “gli esercenti che operano con più punti cassa per singolo punto vendita ……devono altresì dotarsi del processo di controllo di cui al presente paragrafo, che deve essere coerente con il sistema di controllo interno adottato in base al “Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo” del decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231, laddove previsto. Il processo di controllo interno deve essere dichiarato conforme alle prescrizioni indicate nel presente paragrafo sia con riferimento ai processi amministrativi e contabili sia con riferimento ai sistemi informatici dell’azienda coinvolti nella memorizzazione e trasmissione telematica dei corrispettivi (n.d.r.: sottolineatura aggiunta). La conformità dei processi amministrativi e contabili deve essere effettuata da un soggetto regolarmente iscritto nel Registro dei revisori legali tenuto dal Ministero dell’economia e delle finanze, in applicazione del decreto legislativo n. 39/2010 (es. Società di Revisione); per la conformità dei sistemi informatici coinvolti nella memorizzazione e trasmissione telematica dei corrispettivi, gli esercenti possono rivolgersi sia ai soggetti iscritti nel Registro dei revisori legali che agli Enti (Istituti Universitari e CNR) abilitati a rilasciare le certificazioni di cui al punto 2.2 delle presenti specifiche tecniche. Le predette verifiche di conformità sono eseguite almeno ogni 3 anni”.
Che dire? Una grande utilità, un costo molto utile per parecchi imprenditori, una importantissima attività…ma non è finita.
STUDI DI SETTORE (che c’entrano?)
Chi non ricorda gli studi di settore, un ventennio (il richiamo storico potrebbe non essere casuale) con il quale lo Stato ha imposto una metodologia repressiva che è costata moltissimo al settore economico nazionale con aziende che inizialmente si sono anche indebitate per “adeguarsi” e, successivamente, altre che hanno dovuto cessare le attività magari per impossibilità di soddisfare le richieste economiche di un accertamento “a tavolino” o per scarse possibilità di vincere un faticoso e oneroso contenzioso.
Ecco, la cultura aziendale che lo Stato espresse con gli Studi di Settore sono riscontrabili nella guida appositamente dedicata. Quanto segue è un estratto della “Guida agli Studi di Settore”, pubblicata dall’Agenzia delle Entrate nel 2005:
“Utilizzando ciò che realmente serve all’imprenditore o al professionista per gestire e tenere sotto controllo la propria attività, si possono ottenere risultati efficaci anche in termini di controlli.
Gli “studi di settore” sono stati, pertanto, concepiti per essere utili al fisco, ma al tempo stesso all’imprenditore o al professionista, e a tutto il sistema Paese.
L’utilità per il fisco è nella facilitazione delle procedure che consentiranno di calibrare e dimensionare gli accertamenti ai casi di evasione vera.
L’imprenditore o il professionista potrà utilizzare tale strumento a fini gestionali interni, per “conoscersi meglio”, misurando il livello oggettivo della propria efficienza economica in rapporto alle imprese similari o alle attività professionali. Gli studi di settore consentono di monitorare i modelli organizzativi all’interno dei settori economici, di effettuare la valutazione delle “performance” economiche dell’impresa e di conoscere meglio la capacità competitiva del singolo operatore economico considerato.
Gli studi inoltre consentono al sistema-Paese di disporre di uno strumento per monitorare le attività presenti sul territorio, distintamente per settori e localizzazione, e da utilizzare nelle scelte di programmazione economica da parte degli organi di governo”.
Già così non fa sorridere, ma questo Stato, quello della prevenzione della crisi, “ha capito” e ha introdotto gli ISA-Indici Sintetici di Affidabilità.
ISA (che c’entrano?)
Si, “ha capito” e nella Guida “Indice Sintetico di Affidabilità Fiscale” pubblicato da Sose leggiamo:
“…strumenti informatici gratuiti che consentano agli esercenti di confrontare in tempo reale l’andamento economico e finanziario delle proprie attività, a comprendere le cause di eventuali scostamenti e porvi rimedio, ove necessario senza attendere i termini previsti per i dichiarativi fiscali (…). In sostanza, mentre il sistema degli studi di settore era imperniato sulla stima di un livello “congruo” di ricavi e sulla conseguente possibilità per il fisco di effettuare accertamenti presuntivi in caso di ricavi dichiarati inferiori a quanto stimato, il nuovo sistema dell’indicatore sintetico di affidabilità tiene conto di una pluralità di indicatori elementari (…) e soprattutto consente ai contribuenti più affidabili di accedere al regime della premialità (…). Si passa da una logica repressiva a una logica premiale. Ciò è in sintonia con la più ampia strategia di miglioramento del rapporto tra fisco e contribuente, volta ad accentuare la prevenzione ex-ante rispetto alla repressione ex-post”.
Evidente, intanto, come dovendo presentare e far accettare gli ISA, si attribuisce un termine dispregiativo (“logica repressiva”) agli studi di settore che fin quando esistevano erano uno strumento di gestione aziendale volta al miglioramento delle performance, poi si affronti la logica della “premialità” in quanto gli ISA sono e costituiscono ancora uno strumento di “repressione fiscale” e, pertanto, intoccabili, a differenza dei Revisori Legali e della loro attività veramente professionale.
Infatti, l’art.148 del Decreto Rilancio “Modifiche alla disciplina ISA”, al fine di tenere conto degli effetti di natura straordinaria della crisi economica e dei mercati conseguente all’emergenza sanitaria causata dalla diffusione del Covid-19, non interviene sull’adempimento in corso relativo all’anno 2019, ma “semplicemente” prevede per gli anni 2020-2021 degli alleggerimenti “evitando l’introduzione di nuovi oneri dichiarativi attraverso la massima valorizzazione delle informazioni già nella disponibilità dell’Amministrazione finanziaria”.
Ciò vuol dire in sostanza che l’Agenzia eviterà di chiedere ai contribuenti informazioni di cui è già in possesso nelle sue banche dati fornendo in maniera ancora più dettagliata di come fatto ora, una sorta di ISA già precompilato in base ai dati di cui l’Agenzia Entrate è a conoscenza.
IN CHE STATO VIVIAMO?
Viviamo in uno Stato “malato”, non c’è che dire.
Gli “strumenti per l’andamento economico finanziario delle imprese” sono solo gli ISA, sostituti dei mirabolanti Studi di Settore, questo decide lo Stato.
I contribuenti “affidabili” sono solo quelli che stanno in criteri rigidi e prefissati, questo decide lo Stato.
La “premialità” è degna solo quella per aziende che rispettano i medesimi criteri rigidi e prefissati decisi dall’Agenzia delle Entrate, questo decide lo Stato.
Che gli ISA, come lo furono gli Studi di Settore, possano mettere in crisi una impresa (per noti motivi), allo Stato non interessa.
Che “affidabili e premiabili” lo siano società che rispettano norme importantissime, come quella oggetto di emendamento e che è proprio allocata nella prevenzione della crisi di impresa, alla Stato non interessa.
Che un “Revisore Legale” possa identificare la presenza di rischi per una società e che, dopo averli valutati, stabilisca che essi non siano ad un livello accettabile verificando se possano essere applicabili “misure di salvaguardia adeguate per eliminarli o ridurli entro un livello accettabile”, questo non interessa allo Stato, questa non è attività di prevenzione utile all’intero panorama sociale, no, gli ISA, sono meglio, molto meglio, in effetti sono coerenti con l’ampio ventaglio di distruzione dell’economia e delle piccole imprese, un processo che non rischia alcuna interruzione circa la “continuità aziendale statale”.
Pubblicato il: 2020-07-04 20:14:23